02 gennaio 2007

Più leggero dell'aria

Ho immaginato mio padre, mio padre che mi raccontava la sua morte, l'ho sentito presente e ho scritto...
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PIU’ LEGGERO DELL’ARIA
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Ciao Fabrizio.
Soffrivo, soffrivo da un po’ di tempo, ma gli ultimi giorni erano diventati pesanti.
Faticavo, faticavo a respirare, a stare sdraiato, non è facile da spiegare, ma la parola “faticavo” rappresenta bene quello che stavo provando.
Sentivo che avevo sempre meno padronanza del mio corpo, mi era quasi impossibile coordinare i movimenti e questo mi faceva soffrire.
Riuscivo però a sentire, riuscivo a vedere i vostri sguardi, i vostri occhi e soffrivo pensando a voi che eravate tristi, preoccupati e soffrivate per me, con me.
Ero preoccupato per mamma, la vedevo stanca, erano due anni che non mi lasciava solo un momento, che mi stava sempre vicino, che condivideva con me la mia malattia.
Si, mi ricordo di quel dodici luglio, ero stanco, ero attaccato all’ossigeno e quella maschera non la sopportavo proprio, mi sembrava che invece di aiutarmi a respirare mi soffocasse ancora di più.
Eravate tutti lì, mamma, Renata, Manuela, tu, coi medici intorno, le telefonate con Fabio, eravate attenti a non far trapelare quello che vi dicevano, ma gli occhi parlano e si capiva, si capiva che il tempo era poco, che non si parlava più di giorni.
Poi mi sei venuto vicino e mi hai preso la mano, quella che aveva ancora sensibilità. Ci siamo guardati e tu mi hai detto “Papà, non ce la fai più, vero?”. Non riuscivo più a parlare, ho solamente scosso il capo in segno di assenso, non ce la facevo più, la partita, la famosa partita che stavo cercando almeno di pareggiare era arrivata agli sgoccioli e adesso stavo perdendo.
Tu mi hai guardato, ho capito che avevi voglia di piangere, ma mi hai ancora detto “Dai, prova almeno a tirare i calci di rigore e poi è finita”. Mi hai detto ciao e sei andato via.
Non mi hanno mai lasciato solo da quel momento, prima è rimasta mamma e poi è arrivata Renata.
Non ce la facevo più, lo sai che ti dicevo sempre “Tieni duro, non mollare”, ma ad un certo punto non ce la facevo più.
Era quasi mattina, Renata cercava sempre di sistemarmi il respiratore, poi ad un certo punto ho capito che stavo morendo, non ho più sentito male, non ho più avuto fastidio, non avevo paura, stavo morendo ed ero sereno.
Ho sentito intorno a me tutti i rumori, i respiri degli altri pazienti, i medici, la sedia mossa da Renata, poi mi sono girato su un fianco e sono morto.
Lo so che stai piangendo adesso, ma io ero sereno, sentivo di morire ed ero sereno.
Mi pareva di essere più leggero dell’aria, di levitare, di andare verso il soffitto, non avevo più tutti i problemi che mi avevano afflitto negli ultimi anni, ero come una foglia portata dal vento.
Poi ho visto Renata che si alzava dalla sedia e si avvicinava ad un corpo per vedere se respirava, se dormiva.
Era il mio ed io dall’alto potevo vedere tutta la scena, lei che si alzava e chiamava i medici, la dottoressa che arrivava e poco dopo si girava verso di lei scuotendo il capo.
L’ho vista prendere il cellulare e chiamarti.
Si, lo so che tu ti eri svegliato un attimo prima e che aspettavi la telefonata, so che non hai pianto e hai detto grazie e poi mi hai salutato a voce alta.
Ti ho visto correre da mamma e abbracciarla e poi vi ho visti tutti insieme, li in ospedale, vicini, guardare il mio corpo, ma quello era soltanto il mio corpo.
So quanto ha patito Fabio a non poter essere con voi, lo so perché era successo lo stesso anche a me quando era morta la nonna, ma lì c’era solo il mio corpo.
Poi improvvisamente sono entrato in un tunnel nero, era come essere risucchiati, ma senza ansia, senza paura, senza angoscia… un po’ come quando entri in galleria, vedi che è lunga, ma in fondo comunque percepisci la luce, ne intuisci l’uscita.
Anch’io pian piano incominciavo a vedere la luce, prima tenue, poi sempre più forte fino a quando improvvisamente sono stato inondato da una luce immensa, di un chiaro più chiaro di quanto tu possa immaginare. Una luce che non si può chiamar luce, ma non c’è altro termine che tu possa capire, che tu possa intuire.
Ero felice, veramente felice, questa luce illumina dentro, ti riempie di gioia, è più forte della vita.
E’ qui che ho incontrato chi mi ha voluto bene e se ne era andato prima di me. Non puoi capire, lo so, ma mi hanno aspettato per portarmi con loro.
Ero sereno, rassicurato ed in quel momento ho rivisto tutta la mia vita, attimo per attimo, emozione per emozione.
E’ stato un flash senza tempo, ho riprovato tutto, ho capito.
Subito dopo la luce, quella immensa e infinita luce mi ha preso con me, la luce è tutto ed io sono parte della luce.
Ti vedo, vi vedo, ci sono. Tocca a voi andare avanti di lì, ma non sentitevi soli. Un giorno capirete anche voi.
Tieni duro, non mollare.
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Papà.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

...sai anche io li sento. Ci vedono, ci amano, ci aiutano.
Quando sto bene davvero, chiudo gli occhi e dico "grazie"...e...non mollo...mai.

xxx

Anonimo ha detto...

Hai dipinto la morte e la sofferenza con i colori dell'arcobaleno.... una mescolanza di emozioni e di sentimenti veri.
....dipingi così anche la vita.